Il futuro non è più quello di una volta – di Giacomo Poretti

Non c’è più il futuro di una volta, una volta futuro voleva dire buttare tutte le cose di ieri, una volta ci si svegliava la mattina e si desiderava buttare dalla finestra il passato; futuro era sinonimo di change.

Non dico aver voglia di cambiare moglie una volta alla settimana, o di sostituire il parco auto a ogni cambio stagione, e nemmeno intendo il desiderio di avvicendare i nostri «device» con quelli di ultima generazione. No, non mi riferisco a questo, né tantomeno a quel’erotico impulso di fare un auto da fé dei nostri maglioni di lana e scambiarli con tutta la collezione in cachemire a un filo dello stilista in voga; per non parlare di quello spaventoso anelito che ci coglie tutte le volte che vediamo una puntata di MasterChef e quei piani di lavoro immacolati!

Alziamo la cornetta, componiamo il numero dell’architetto e gli ordiniamo la ristrutturazione completa della nostra casa, annullando ogni stanza e facendo diventare l’appartamento un’enorme ed unica cucina.

Poi, grazie a Dio, ci rendiamo conto di aver sbagliato numero e di aver parlato con il medico curante, il quale ne approfitta e ci prescrive un tranquillante. E che dire di quel doloroso desiderio di sostituire i nostri figli adolescenti con bimbi mezzani che frequentano l’asilo e rimarranno mezzani fino a settanta e passa anni? O la nostra faccia, e porzioni considerevoli del nostro corpo, che daremmo volentieri in permuta al chirurgo plastico in cambio di una faccia da ventenne?

Quanto desiderio di cambiamento e di innovazione abita dentro il cuore di un essere umano! E forse è proprio questo impulso quasi feroce che ha suscitato tutte le novità, le scoperte, le conquiste della vita sulla Terra: molti desideri sono stati esauditi, grazie anche all’industria dell’auto, dell’hi-tech, dell’abbigliamento e della ristorazione, che hanno elaborato un’efficace campagna di marketing incentrata sul concetto «È un pistola solo chi non cambia».

Ora l’umanità sta facendo i conti con un ostacolo imprevisto: un misero virus, il quale impedisce la gioia dei nostri risvegli: il primo pensiero non è più “oggi cambio le sneakers” ma forse “ sarebbe meglio cambiare me stesso”.

Questo virus che toglie il respiro ma che è anche vagamente depressivo e ci costringe a ripensare il concetto di futuro: forse sarebbe meglio non buttare indistintamente il passato, ma come nella tradizione della cucina popolare, raccogliere gli avanzi di ieri, mescolarli a ciò che oggi ci viene regalato, e gustarci una zuppa che potrà esse buona anche domani.